#nonchiamatelaintervista a cura di Federica Sessa, Maria Zigrino, Maria Fiorentini, Chiara Francese

Rientriamo nella schiera delle “nonchiamatemigroupie” di Galeffi già dal 2017, seguendolo in giro per l’Italia e andando letteralmente in fissa con il suo album d’esordio, “Scudetto” (Maciste Dischi, 2017). Negli ultimi mesi Galeffi è tornato con tre nuovi brani e oggi ha finalmente annunciato l’arrivo del nuovo album: “Settebello” uscirà il 13 marzo, anticipato il 28 febbraio dall’omonimo brano.

Qualche settimana fa abbiamo fatto quattro chiacchiere con Marco sul suo ritorno e sulle aspettative per il nuovo progetto: nell’attesa di poter finalmente sentire l’attesissimo secondo album, vi proponiamo la nostra #nonchiamatelaintervista!

Sono le 13:20 spaccate. Siamo tese ed emozionate, e non lo nascondiamo: scambiare quattro chiacchiere con un artista che apprezziamo sin dai suoi esordi non è roba da poco. Per l’occasione ci siamo presentate in tre: Federica, Maria e Chiara, un po’ per darci sostegno l’un l’altra, un po’ perché ognuna ha le proprie curiosità da snocciolare. Cerchiamo di rompere il ghiaccio con le nostre domande preferite, quelle che ci caratterizzano…

Ciao Marco, negli anni noi di Non Chiamatemi Groupie abbiamo raccontato diversi tuoi concerti vissuti nel parterre. Ti andrebbe di raccontarci un concerto che anche tu hai vissuto come fan?

Paolo Nutini al Rock in Roma! Sono un suo grande fan. Un amico mi aveva procurato un pass, che in realtà mi permetteva di arrivare solo fino ad un certo punto – il backstage era off limits. Perciò mi sono infilato nel backstage e sono rimasto nascosto per quattro ore sotto un furgone. Considera che sono andato lì per ora di pranzo e il concerto iniziava alle nove. Era luglio e c’erano quaranta gradi, ma io volevo abbracciarlo. Quando è arrivato gli ho detto “Sei un grande!”, abbiamo parlato e mi ha subito preso in simpatia. Ha detto alle guardie “Lui sta con me”, e quando ha fatto gli scalini per andare sul palco mi ha portato con sé. Mi sono messo in un angoletto e mi sono visto tutto lo spettacolo da dietro le quinte. Dopo il concerto, ho passato tutta la serata con lui.

Bell’idea questa di nascondersi sotto al furgone. Prendiamo nota! 

Ah, per me ne è valsa la pena. È stato assurdo!

Raccontaci invece un tuo concerto. Magari uno che è stato particolarmente significativo per la tua carriera…

Sicuramente il concerto del Primo Maggio 2018 ( noi c’eravamo e lo abbiamo raccontato qui ): è stato significativo perché prima di quel momento non riuscivo a quantificare quello che stava succedendo. Non perché pensassi che fosse normale, ma non mi sembrava che ci fossero ancora dei dati reali. Quando mi sono trovato sul cartellone con la Nannini, la Consoli, eccetera… mi si è accesa una lampadina e ho detto “Dai, forse qualcosa di buono lo sto facendo!”. È difficile essere sempre soddisfatti di se stessi, ma a volte è bello ricordare la sensazione di sentirsi fieri.

Come era stato l’impatto con il pubblico in quell’occasione?

Abbiamo fatto solo due o tre canzoni. La sensazione è stata quella di vivere qualcosa di forte ma non ho avuto abbastanza tempo per instaurare un rapporto con la gente. Mi ricordo che la gente cantava, in tanti sapevano le canzoni, ma non è tanto quello: per me è stato più importante esserci, sapere di essere stato su quel palco. Sai, una di quelle X che metti nella vita.

Qual è la tua “non chiamatela fissa” del momento? La canzone che non smetti di ascoltare?

In questo momento è “Conoscersi in una situazione di difficoltà” di Giovanni Truppi. L’avevo già sentita un annetto fa, ma è uscito da poco il featuring con Niccolò Fabi ed è come se l’avessi riscoperta.

C’è un’etichetta che ti è stata affibbiata e che ti sta un po’ scomoda? Insomma, non chiamatemi…

“indie”! Che non sia il titolo, però! (ride)

Come mai?

Secondo me “etichettare” è noioso a prescindere, non serve a niente. Non credo che “indie” sia dispregiativo, è chiaramente un termine che definisce un movimento e forse tra qualche anno sarà ricordato come qualcosa di storico. Ma spesso viene usato per definire progetti che, anche solo per i numeri che fanno, non sono “indie”. Purtroppo c’è una parte di pubblico indie, quella più “passiva”, che si fa trascinare dalle definizioni e se un progetto non è “indie”, non ascolta le canzoni. Bisognerebbe invece imparare a fare amicizia con le canzoni e capirle. Se fossimo in un mondo in cui le persone hanno un po’ più cura della musica, allora sarebbe bellissimo dire “indie” con il sorriso. Ma spesso “indie” diventa dispregiativo perché viene visto come una moda, ed è sempre poco affascinante fare parte di una moda. è più affascinante fare parte di una cosa bella, a prescindere.

Vorremmo continuare a parlare di etichette e definizioni, ma i minuti scorrono e abbiamo ancora tante cose da chiedere a Marco. Arriva così la parte “più ufficiale” dell’intervista, quella in cui parliamo dei pezzi usciti negli scorsi mesi e dell’album in arrivo…

Ascoltando i tre nuovi brani usciti in questi ultimi mesi (Cercasi Amore, America e Dove non batte il sole, ndr) abbiamo sentito un Marco diverso, un po’ più “intimo” rispetto a “Scudetto”…

“Intimo” ci sta, mi piace! (sorride)

Quanto ti senti cambiato rispetto al tuo album d’esordio, soprattutto dopo questo periodo di pausa?

Non lo so, a dir la verità io mi sento sempre uguale. Sicuramente sono cresciuto come essere umano, ma in fondo “Galeffi” è sempre Marco e le cose che scrivo vengono da quello che il mio cervello elabora. Probabilmente con due anni di esperienza in più sembro diverso, ma in realtà è solo l’evoluzione naturale della vita.

Sei solo un po’ più maturo…

Magari sì, non so…è che quando scrivi non te ne rendi conto. Essere maturi è comunque una cosa positiva.

I singoli che sono usciti sono molto diversi tra loro e ci hai lasciato con un dubbio: cosa dobbiamo aspettarci dall’album?

Avete centrato il punto, era proprio quello che volevo fare, ovvero far uscire tre canzoni molto diverse tra di loro. Cercasi Amore e America sono opposte, mentre Dove Non Batte il Sole sta un po’ in mezzo, a centrocampo. Attenzione, però… nessuno ha detto che questi sono i singoli, sono semplicemente le coordinate.

Quindi il resto lo dovremo scoprire…
Passiamo ora alla dimensione live. Noi ti abbiamo visto all’Ohibò a Milano e poi a Spazio 211 e Hiroshima Mon Amour a Torino (concerto che vi abbiamo raccontato qui). Com’è cambiato da allora il tuo modo di approcciarti al live?

Sicuramente sono un po’ meno impacciato, anche se credo di essere sufficientemente impacciato lo stesso. La band è cresciuta molto insieme a me. Dopo aver fatto 70-80 date in un anno, perdi quell’ansia da prestazione e riesci a viverti meglio il concerto. Per dirti, prima dell’Ohibò non ho dormito per giorni. Forse così era più romantico, ma d’altra parte quando se hai un tour fitto e non dormi mai, alla cinquantesima data sei morto…Te ‘nfarti! (ma che bello l’accento romano!, ndr) Normalizzando le esibizioni dormi e te la godi a livello fisico. Certo, perdi un po’ di romanticismo…ma ci guadagni in salute!

Prima citavi la tua band-famiglia. Ti accompagnerà anche nel prossimo tour?

Sì, immagino di sì… devo ancora chiederglielo, in realtà.

Hai qualche aneddoto carino dal tour? (Siamo sempre alla ricerca di scoop!)

Ehm… sì (ride). Ma sono tutte cose che non si possono raccontare!

Sappiamo che hai tante “groupie”. Com’è il tuo rapporto con i fan? Cosa ti piace di più e di meno di questa relazione?

Mi piace vedere come risponde il pubblico ai live, questa è una cosa importante. Sui social, invece, sono più distaccato: guardo tutto, chi mi tagga, ma non rispondo a nessuno. Leggo per capire il mood di chi mi segue, perché sono curioso e perché credo sia giusto nei confronti di chi mi scrive. Però, se scrivessi al mio idolo, lo farei per una certa necessità, quasi uno sfogo, e forse preferirei non ricevere risposta. Mantengo un certa distanza perché secondo me così il rapporto è più sano. Poi, è ovvio, se uno mi dice una cosa estremamente intima, privata, rara, allora rispondo.

Facciamo outing: noi gli abbiamo scritto parecchie volte dai nostri profili, quasi sempre “Galeffi ti amo!”, e confermiamo il “visualizzato e non risposto”.

Quindi i social ti aiutano a capire che tipo di pubblico ti segue?

Mah, non tanto quello. É quasi come fosse uno studio antropologico, chiaramente fatto a casa, sul divano, quando non ho nulla da fare. Per esempio, quando esce una canzone vado a leggere i commenti per capire se è piaciuta o meno. è più un discorso di curiosità, perché molto spesso quando scrivi non hai tanto la percezione della canzone…

Quattro chiacchiere con Galeffi presso la sede della Universal Music

I minuti a nostra disposizione stanno per terminare, la chiacchierata è stata piacevole ma ci resta un’ultima curiosità da chiedere al nostro Tottigol… 

Facendo riferimento al trasporto con cui canti “Questo cuore non è un albergo”, c’è un messaggio che vuoi gridare in questa nuova fase della tua carriera?

Mmm, non ci ho pensato. Sono una persona molto delicata e non voglio gridare nulla. Semplicemente, ho dato il massimo nel disco e mi auguro innanzitutto che la gente lo ascolti, e poi che venga ai concerti. Per me la cosa più importante è rispettare le canzoni, questo sì. Ecco, se posso fare una richiesta, è che venga data importanza alle canzoni.

Non ci resta altro che accogliere la sua richiesta, proporla a voi e  aspettare insieme l’uscita di “Settebello”, in pre-order qui.