Quand’è che comprendi che un artista è diventato in qualche modo, inconsapevolmente, parte integrante della tua vita? Me l’ha fatto capire il mio compagno, con una frase buttata lì per caso, dopo il concerto di Max al teatro delle rocce di Gavorrano: “Credo che, da quando stiamo insieme, Max Gazzé sia l’artista di cui ho visto più concerti dal vivo“. Mi sono stupita, gli ho chiesto “Ma, davvero? Te l’ho fatto vedere così tante volte?” “Sì almeno 6″. Non me n’ero accorta.

Max non è uno di quegli artisti che seguo “per forza“, lo vado a sentire “per bisogno“. Nel senso che, ad un certo punto, quando lo trovo, a volte senza nemmeno cercarlo, so che quel concerto mi farà stare bene. È una di quelle persone che stimo incondizionatamente senza neanche conoscerla. Mi trasmette a pelle, la sensazione di avere a che fare con qualcuno che condivide tutti i valori che per me sono fondamentali nel mio esistere: correttezza, professionalità, onestà, empatia, curiosità, sensibilità e leggerezza (che nel mio caso viene spesso confusa con superficialità, ma è l’esatto opposto – è la capacità di affrontare temi complessi, profondi o dolorosi, con ironia, con una risata amara che resta, comunque sia, una risata che ha lo scopo di alleggerire gli animi).

L’ho sempre stimato per la sua ricerca di pezzi mai banali, mai scontati, spesso difficili, azzardati, con testi che sono come leggende tramandate dalla saggezza popolare, capaci di raccontare e tramandare verità, nascondendole abilmente in storie della buonanotte. La sua musica mi lascia sempre qualcosa di dolceamaro che ha quel gusto non scontato e pieno di sfumature che ricerco, da sempre, nella vita. E poi, non nascondiamoci dietro a un dito: ne sono sempre stata innamorata. Ha la bellezza della forza interiore ed esteriore dei grandi eroi della storia. Mi fa sempre desiderare di essere un basso e non è una cosa scontata perché ho sempre pensato di essere più una batteria, una chitarra acustica e un pianoforte. 

Il teatro delle rocce, è come lui e la sua band: potente, magnifico, intramontabile, eclettico, ma anche di una bellezza antica che sai di non riuscire pienamente a comprendere. Forse uno dei luoghi più suggestivi in cui abbia mai visto un concerto. E il fatto che sia riuscita a trovare il coraggio di andare sottopalco per metà concerto e, soprattutto di chiedere direttamente a lui la sua scaletta, dopo così tanti suoi concerti, ha a che fare con quel luogo lì, con quell’acustica lì, quell’atmosfera da “ultimo concerto prima della fine del mondo”, con quella setlist lì e con un momento storico in cui, di cose eternamente belle, che ti fanno stare bene senza troppe pretese, ce n’è un bisogno disperato.


di Chiara Francese