Raccontami un concerto: Achille Lauro al Fabrique di Milano di ML Fiorentini
Achille Lauro al Fabrique: un concerto che ho aspettato per mesi… e che, per distrazione, stavo rischiando di perdermi (il rinvio a ottobre mi aveva confusa). Chiaramente, quando mi sono accorta che la data era molto prossima, il concerto era già sold out.
Vi risparmio la caccia al biglietto dell’ultimo minuto: ansia e adrenalina, ma alla fine ero lì, pressata nel pubblico, in punta di piedi sugli scalini del Fabrique, incurante del caldo infernale e dell’acustica discutibile: aspettavo Achille Lauro e stavo bene.
“Questa è una festa e ci sono delle regole: mettete via i cellulari e spogliatevi”: il concerto è iniziato così, con Achille che da lì in poi si è mantenuto sopra le righe ma elegante, folle ma educato, gentile ma provocante, stretto in quelle tutine attillate che ha cambiato alla velocità della luce (prima un demone, poi un angelo fucsia con le ali immense, infine un cow boy tutto glitterato). Un mix esagerato di stili e di generi, un concentrato di ossimori assolutamente credibile. E io, che ho un debole per i mischioni, ero del tutto stregata e sbalordita da quello spettacolo imprevedibile che passava dagli Anni ’20 agli Anni ’90, dallo swing al punk, dalla samba al grunge, come niente fosse.
A dire il vero, tutto il pubblico era stregato – un po’ per lo spettacolo, un po’ per gli ospiti, ma soprattutto, per il fascino di Achille. E lui, giusto per rincarare la dose, prima di chiudere ha rivolto una domanda galante a tutte le signorine presenti: “Chi vuole sposarmi?”
Risposta: un coro di “IO!!”.
Groupie: on.
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