È da poco passata la mezzanotte. Quando decido di girarmi un’altra sigaretta e ascoltare “La vita breve dei coriandoli” affacciata alla finestra, mi trovo davanti Milano nel bel mezzo di un nubifragio. La delicata potenza della pioggia e la potente delicatezza della voce di Michele: caos e quiete che si incontrano e si scontrano in un momento così perfetto che sembra quasi quella pioggia sia lì per me.

È tornato. Michele Bravi è tornato a far parlare la musica e non avrebbe potuto farlo diversamente. O comunque, non con un brano più azzeccato, più giusto. “La vita breve dei coriandoli” è il brano perfetto per un ritorno tanto atteso. 

Qualche millisecondo dopo aver premuto play, entra in scena la voce di Michele, pura, senza fronzoli e inutili abbellimenti: venti secondi di sola voce – sogno proibito di qualsiasi fan di Michele – che già ti lasciano senza fiato (letteralmente, sei così preso ad ascoltare i suoi respiri che ti dimentichi dei tuoi).

Al quinto secondo, quella voce ti ha già paralizzato, rapito, conficcandotisi dritta dentro il cuore. 

Al ventunesimo secondo, si fa spazio il piano, complice fidato e indispensabile, che accompagnerà la voce di Michele con gentilezza e rispetto, tenendo fede a quella dimensione intima – già sperimentata durante i live al San Babila – di cui tutti, adesso, abbiamo bisogno. 

La voce di Michele scorre sulle note del piano dipingendo un accenno di serenità ritrovata, lasciandoci assaporare ogni inflessione, respiro, sussurro. Voce e melodia si fondono a celebrare il fascino delle piccole cose nelle quali ritrovare libertà, felicità. Un brano manifesto, tanto nella forma quanto nel contenuto. Un primo passo per riscoprire e ricreare quel “filo invisibile” che unisce Michele al suo pubblico.

Mentre lancio un’ultima occhiata fuori dalla finestra, penso che potrei passare così tutta la notte: con la voce di Michele nelle orecchie, a fissare il cielo in rivolta.

#nonchiamatelafissa di Federica Sessa